A cura di Fabio Gallo – Direttore Editoriale/
Abbiamo deciso di intervallare le notizie del VI Centenario di San Francesco con i passi di Papa Francesco nel mondo, per comprendere meglio il senso di questo VI Centenario, in che epoca e tra quali storie umane si colloca il ricordo dell’Uomo della Carità. Non è possibile parlare di Carità ed essere degni dell’esempio di San Francesco da Paola se non poniamo la nostra attenzione sui Diritti Umani di tanti ai quali viene negato dalle contingenze e dall’incapacità, oltre che dalle volontà, di essere Persone.
“Il Mediterraneo non deve essere una tomba. Si tratta di un luogo di vita, di un crocevia di culture e civiltà, di un luogo di scambio e di dialogo, un mare di Pace. La Pace non è la fine della storia. La Pace è l’inizio di una storia legata al futuro” Queste le parole del Patriarca Ecumenico Bartolomeo che ha accolto Papa Francesco insieme all’Arcivescovo di Atene, sulle quali riflettere guardando con spirito di carità umana al domani di tutta l’umanità. Intendiamo forse lasciare da solo il Santo Padre con i Padri della Chiesa e proclamare al mondo di essere incapaci di limitare il delirio umano di chi spinge l’Umanità alle guerre?

Papa Francesco è rientrato da Lesbo — dove si è recato nella mattina di sabato 16 aprile insieme con il patriarca ecumenico Bartolomeo e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hierònymos — portando con sé un gruppo di profughi. Si tratta di tre famiglie fuggite dalla guerra che sta insanguinando la Siria: in tutto dodici rifugiati, tra i quali due adolescenti e quattro bambini, approdati sull’isola greca prima del recente accordo tra Turchia e Unione europea e ospitati nel campo di Kara Tepe.

Un gesto senza precedenti, che ha racchiuso lo spirito di una visita breve ma intensissima, compiuta nel segno della prossimità e della condivisione. «Sono venuto qui semplicemente per stare con voi e per ascoltare le vostre storie» ha spiegato il Pontefice alle centinaia di uomini, donne, bambini, anziani accolti nel campo di Moria, dove ha trascorso l’intera mattinata immerso nell’abbraccio carico di dolore e di speranza dei profughi.

«Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione» ha aggiunto sottolineando le dimensioni di quella che già durante il volo verso l’isola aveva definito «la catastrofe umanitaria più grande dopo la seconda guerra mondiale». Con i giornalisti a bordo dell’aereo Francesco aveva anche ricordato l’ottantanovesimo compleanno di Benedetto XVI, al quale aveva inviato gli auguri e assicurato la preghiera.

Nel campo di Moria il Papa ha sostato a lungo in mezzo ai rifugiati: ha ascoltato storie di orrore e di violenza, ha consolato le lacrime, ha avuto per tutti una parola di conforto. «Non siete soli» ha assicurato, lodando la generosa risposta di accoglienza del popolo greco ed esprimendo l’auspicio che «il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità».
Un auspicio divenuto «appello alla responsabilità e alla solidarietà» durante l’incontro con le autorità e la comunità cattolica svoltosi nel primo pomeriggio al porto di Mytilene, dopo che Francesco aveva firmato una dichiarazione congiunta con Bartolomeo e Hierònymos, e aveva pranzato con otto ospiti del campo. «L’Europa è la patria dei diritti umani e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare» ha ammonito il Papa, riconoscendo che «le preoccupazioni delle istituzioni e della gente sono comprensibili e legittime» ma invitando a «non dimenticare che i migranti, prima di essere numeri, sono persone». Da qui il nuovo invito a rifuggire «dall’illusione di innalzare recinti per sentirsi più sicuri». Perché «le barriere — ha avvertitio — creano divisioni, anziché aiutare il vero progresso dei popoli». Prima di lasciare l’isola, il Papa, il patriarca e l’arcivescovo ortodosso hanno recitato una preghiera per tutte le vittime dell’immigrazione e hanno lanciato in mare tre corone di alloro.